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Ottimizzazione del peso e della composizione corporea

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OLYMPIAN’S – ottobre 2011

Nel primo articolo uscito nel numero di Olympians Fit di Aprile 2011 avevo concluso affermando che la medicina anti-aging deve essere finalizzata ad una migliore gestione della propria salute caratterizzata da:

  • Prevenzione personalizzata secondo le caratteristiche individuali genomiche, biochimiche e morfologiche
  • Ottimizzazione del peso e della composizione corporea
  • Correzione di carenze nutrizionali
  • Disintossicazione
  • Miglioramento della forza e della resistenza muscolare
  • Miglioramento della mobilità e flessibilità a livello articolare
  • Miglioramento delle capacità aerobiche
  • Miglioramento dell’equilibrio e del controllo propiocettivo
  • Correzione della postura e riduzione dei problemi di lombalgia
  • Riduzione dello stress
  • Miglioramento della capacità cognitiva e delle prestazioni mentali
  • Regolarizzazione dei processi metabolici
  • Bilanciamento ormonale

Successivamente abbiamo trattato il primo aspetto legato alle caratteristiche genetiche, ebbene ora è il momento di trattare il secondo punto cioè” l’ottimizzazione del peso  e  della composizione corporea”.

Sempre nel numero di aprile avevo sostenuto che gli strumenti principali della medicina anti-aging fossero: corretta alimentazione, integrazione alimentare, esercizio fisico, gestione dello stress, bilanciamento  ormonale. Ebbene per raggiungere l’ottimizzazione del peso e della composizione corporea spesso è necessario ricorrere a tutti questi  strumenti e il fallimento del 90% o più delle persone che perseguono questo obiettivo è proprio dovuto al fatto che cercano di raggiungerlo solo con un unico strumento : la dieta di moda oppure  gli integratori miracolosi oppure l’allenamento del guru del fitness di turno, il ricorso allo psicologo e gli psicofarmaci e, per ultimo, l’abuso di ormoni quali tiroxina, gonadotropine, GH.

O meglio, il fallimento in realtà all’inizio non è così evidente perché spingendo al massimo sull’acceleratore con ognuna di queste pratiche si ottengono significativi risultati di dimagrimento o perdita di peso, poi però, proprio per l’impossibilità a tenere un acceleratore sempre al massimo, questi risultati vengono inevitabilmente perduti spesso portando un peggioramento rispetto alla situazione  precedente. Non ci sono scorciatoie e se vogliamo essere in forma dobbiamo praticare uno stile di vita congruo che comprenda tutti gli strumenti  suddetti della medicina anti-aging nel giusto equilibrio.  In occasione del convegno “Alimentazione anti-aging”, organizzato dall’Accademia del Fitness e tenutosi a Parma il 04 giugno 2011, ho coniato l’aforisma “Nasciamo come siamo, diventiamo come mangiamo” proprio per sottolineare l’estrema importanza dell’alimentazione nel condizionare il nostro destino ma avrei tranquillamente potuto estendere il concetto dicendo: “Nasciamo come siamo, diventiamo come mangiamo, come beviamo, come respiriamo, come ci muoviamo, come pensiamo”. Dobbiamo renderci conto che i geni che ci hanno trasmesso alla nascita i nostri genitori rappresentano un potenziale, una predisposizione, ma ormai è dimostrato che tramite gli stili di vita siamo in grado di influenzare la nostra genetica, modificare l’espressione dei nostri geni e quindi  indirizzare il nostro divenire.  Il DNA è come l’impianto elettrico di una casa: ne definisce la rete ma sta a noi decidere quale lampada accendere e quale tenere spenta. Purtroppo in questa civiltà industriale, meccanicizzata e computerizzata finiamo per  tenere sempre accese tutte le lampade stimolando così anche i nostri geni che invece dovrebbero essere soppressi. La strategia vincente dovrebbe essere quella di assecondare la nostra genetica ma moderare gli eccessi. Se sono geneticamente predisposto ad assumere carboidrati non otterrò certo buoni risultati eliminandoli dalla dieta ma non ne dovrò approfittare consumandone una quantità eccessiva perché nel tempo si manifesteranno dei problemi. Quando si parla di dieta per dimagrire normalmente abbiamo a che fare con due scuole di pensiero o al limite tre. La prima scuola di pensiero, che è quella più accreditata dalla medicina  convenzionale, propone una dieta  ipocalorica, iperglucidica e ipolipidica, contrapposta a questa scuola c’è chi sostiene la maggior efficacia di una dieta iperproteica e ipoglucidica, nel mezzo c’è chi propone un equilibrio tra proteine, grassi e carboidrati. Il problema è che non è neanche sufficiente parlare in termini di percentuali di macronutrienti perché, invece, bisognerebbe specificare quali carboidrati (integrali o raffinati), quali grassi (saturi o insaturi), quali proteine (di origine animale o vegetale, da allevamento e coltivazione intensiva o selvatiche e spontanee). Se andiamo a vedere l’alimentazione dei nostri precursori nel paleolitico, che è l’alimentazione alla quale dovremmo nel corso dell’evoluzione esserci più adattati, vediamo che rispetto alla nostra alimentazione dell’era industrializzata c’è una grande differenza per quanto riguarda:

  • Il carico glicemico
  • La composizione in acidi grassi
  • La composizione in macronutrienti
  • La densità in micronutrienti
  • L’equilibrio acido-base
  • Il rapporto sodio-potassio
  • Il contenuto in fibre

la collisione evoluzionistica tra il nostro primordiale genoma con le qualità nutrizionali dei cibi introdotti recentemente può ragionevolmente essere considerata una delle cause alla base delle malattie degenerative e dell’obesità dei paesi occidentali. L’eccesso di cereali raffinati, lo squilibrio tra omega 6 e omega 3, la scarsità di vitamine e minerali dovuta alle coltivazioni intensive e ai metodi di conservazione e trasporto, l’abuso di latticini acidificanti, l’eccesso di utilizzo del sale e lo scarso apporto di fibre sotto forma di frutta e verdura sono una costante nella maggior parte delle persone sovrappeso. In Italia, dove si parla tanto di dieta mediterranea senza distinguere tra la dieta mediterranea della televisione e quella tradizionale basata sul consumo di frutta, verdura, pesce e olio di oliva,  c’è la percentuale più alta di morti per diabete di tutta Europa e  questo dovrebbe far riflettere. Se l’ottimizzazione  del  peso corporeo è normalmente presa in considerazione per un mero risultato estetico in realtà noi dobbiamo considerare il sovrappeso e, soprattutto, l’obesità una condizione patologica.. L’obesità e l’eccesso di peso possono essere considerate una condizione infiammatoria e l’infiammazione è un fattore chiave della patologia della sindrome metabolica. Non solo l’obesità alza il livello di molecole pro-infiammatorie nel corpo ma contribuisce al manifestarsi di varie malattie legate all’infiammazione: malattie cardiovascolari, tumori, steatosi epatica, artriti, Alzheimer, asma. La malattia infiammatoria legata all’obesità spiega l’effetto indesiderabile della “resistenza insulinica” introducendo il nuovo concetto di “obesite”. La resistenza insulinica è alla base della sindrome metabolica e del prediabete di tipo 2. Recenti evidenze scientifiche suggeriscono che l’insulino-resistenza è causata, in parte, da mediatori chimici che sono rilasciati da cellule immunocompetenti  o da cellule adipose. Per esempio elevati livelli della citochina infiammatoria Fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-ALFA) sono associati con una sovralimentazione ed una sua diminuzione è , viceversa, associata alla perdita di peso e al miglioramento della insulino-resistenza. L’obesità è anche associata alla diminuzione della citochina antinfiammatoria adiponectina, anch’essa prodotta dal tessuto adiposo che sopprime la sintesi  del TNF-ALFA e promuove la produzione di altre citochine antinfiammatorie. A questo punto è chiaro che nell’”obesite” esiste uno squilibrio tra citochine pro-infiammatorie  e antinfiammatorie e che l’obiettivo debba essere invertire la situazione tramite un approccio olistico. L’altro denominatore comune della sindrome metabolica e dell’obesità è il danno ossidativo causato dai radicali liberi e esacerbato da una  riduzione degli anti ossidanti nel corpo. Senza dubbio la progressione delle complicanze nell’obesità e nel diabete di tipo 2 sono correlate  allo stress ossidativo con uno sviluppo dei prodotti finali di glicazione avanzata (AGES).  Di conseguenza il trattamento dell’obesità deve tener conto di questa nuova definizione e quindi deve essere gestito tramite le cure dell’infiammazione e il sostegno delle difese antiossidanti. Se tutto ciò si può, in parte,  ottenere seguendo un’alimentazione più congrua è altrettanto vero che esiste la possibilità di integrare l’alimentazione fornendo sostanze in grado di esercitare sia l’effetto antinfiammatorio che antiossidante.  Gli acidi grassi Omega 3, meglio se assunti tramite concentrati di olio di pesce ricco in EPA  (acido eicosapentaenoico)  sotto forma di capsule gastroresistenti per una miglior compliance e biodisponibilità. I precursori vegetali degli Omega 3 non sono una fonte altrettanto valida in quanto un deficit dell’enzima delta-6-saturasi ne  impedisce la conversione nella forma attiva. L’olio di pesce migliora la sensibilità all’insulina agendo sui recettori PPAR ed ha molteplici effetti benefici, compreso quello sull’apparato cardiovascolare e quello antinfiammatorio. L’acido alfa-lipoico è un potente antiossidante che riveste un ruolo specifico nel contrastare gli AGES diminuendo così i danni tessutali nelle situazioni di alterato metabolismo glucidico. Hanno uno specifico effetto di sensibilizzazione dell’insulina le fibre solubili (es: betaglucano dell’avena , l’inulina, la pectina), riducono la glicemia post-prandiale, il colesterolo, migliorano la tolleranza al glucosio, regolano le funzioni intestinali, stimolano il sistema immunitario, probabilmente a causa di un effetto prebiotico. In aggiunta le fibre solubili, soprattutto le fibre dell’avena, hanno delle proprietà fisico-chimiche che  modulano la mobilità del tratto superiore gastro intestinale ritardando lo svuotamento dello stomaco e rallentando o impedendo l’assorbimento di specifici macronutrienti quali glucosio e grassi e promuovendo il senso di sazietà. Il the verde è un antiossidante molto potente con svariati effetti positivi sulla salute, incluso effetti lipolitici e di regolazione del metabolismo glucidico soprattutto grazie al suo contenuto in epigallocatechine  (EGCG). Gli antiossidanti che includono ma non si limitano alle antocianidine, all’acido ellagico, al resveratrolo, alla curcuma, ai bioflavonoidi e alle vitamine A,C,E, e ai minerai selenio, zinco etc… sono spesso mal formulati e male usati e dovrebbero essere prescritti tenendo conto del potenziale antiossidante e della quantità di radicali liberi dell’individuo. Inoltre si dovrebbero evitare dosaggi elevati di singoli antiossidanti. Discorso a parte potrebbe meritare l’uso della Vitamina C (ved. Linus Pauling). Per quanto riguarda l’esercizio fisico in questo contesto, dato lo spazio limitato, corro il rischio di essere banale; mi limiterò a segnalare che le raccomandazioni  usuali valide per un benessere generale  di praticare trenta minuti di attività fisica tre volte alla settimana non sono valide nel caso che si voglia perdere peso definitivamente. Sono necessarie almeno 5-6 sedute alla settimana di un’ora di attività fisica di cui almeno 40 minuti di attività aerobica e 20 di allenamento con sovraccarico. L’allenamento aerobico deve essere praticato ad una frequenza intorno al 60-70% della frequenza cardiaca massima e,  al contrario di quello che si potrebbe pensare, l’allenamento con i sovraccarichi deve prevedere soprattutto allenamenti di forza per una miglior sensibilizzazione insulinica ed un maggior effetto motivazionale, quindi “più peso e meno ripetizioni”. Ovviamente l’intensità dell’allenamento contro resistenza (resistence training) cioè coi pesi deve essere impostato tenendo conto della salute cardiovascolare dell’individuo, ma ormai l’allenamento contro resistenza è stato completamente sdoganato tanto è vero che viene inserito per migliorare la qualità della vita anche nei post-infartuati con carichi intorno al 50% della 1RM. Le pause possibilmente devono rimanere entro i 60 secondi per promuovere maggiormente le secrezioni ormonali di GH e testosterone entrambi utili nel favorire il dimagrimento soprattutto a livello addominale. Pause più lunghe sono in funzione del miglioramento della performance della forza ma non è il nostro obiettivo. Per quanto riguarda l’attività aerobica ci sarebbe anche da stabilire quale sia il momento migliore per praticarla e favorire il consumo dei grassi a scopo energetico. In quest’ottica i due momenti migliori sono al mattino a stomaco vuoto e dopo l’allenamento coi pesi. Queste sono due situazioni in cui normalmente la glicemia è particolarmente bassa  e quindi l’organismo è predisposto ad utilizzare i grassi a scopo energetico. Ma se l’allenamento a stomaco vuoto può andare bene per la maggior parte delle persone normopeso o sovrappeso, spesso per gli obesi non è così. Esiste un legame tra funzione della corteccia surrenalica e obesità. In uno studio effettuato su una popolazione di ratti geneticamente predisposti ad essere obesi, quelli che venivano surrenalictomizzati non sviluppavano l’obesità. L’obeso spesso dorme poco e male soffrendo di dispnea notturna e russamento e questo fa sì che ci sia una diminuzione della produzione di ormoni tireotropi e di GH ed un aumento invece della secrezione dei corticosteroidi. Questi individui si ritrovano, a causa di un insulinoresistenza causata dalla obesità e dalla scarsa qualità del sonno e a causa della maggior secrezione di cortisolo (ormone iperglicemizzante), con una glicemia a digiuno al mattino particolarmente alta e ciò non crea i presupposti per un l’utilizzo dei grassi a scopo energetico ma bensì, data l’insulinoresistenza e l’ipercortisolemia, ad un consumo delle proteine a scopo energetico con effetto catabolico; senza considerare poi l’effetto stressogeno che può rappresentare l’effettuate l’attività fisica al mattino per queste persone. Meglio praticare l’attività aerobica dopo l’allenamento coi pesi, o anche da sola, preceduta da un pasto a basso indice glicemico, verso pomeriggio-sera quando i livelli di cortisolo dovrebbero essere più bassi, anche se spesso in questi soggetti il normale ritmo circadiano del cortisolo è alterato. Quindi per programmare l’allenamento considerando anche la fascia oraria potrebbe essere utile monitorare i livelli di cortisolo durante la giornata tramite un test salivare, affidabile e poco invasivo. Nel prossimo articolo parlerò dello stress management e del bilanciamento ormonale in funzione dell’ottimizzazione del peso e della composizione corporea.

BIBLIOGRAFIA

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