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NON SEMPRE “MENO” E’ MEGLIO

NON SEMPRE “MENO” E’ MEGLIO
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Dalle mie prime esperienze coi pesi avevo imparato a mie spese che non sempre allenarsi di più dà più risultati. Questa esperienza mi fece capire che per poter ottenere il massimo dei risultati nel body building bisogna avere la massima comprensione di come funziona il corpo umano e così mi iscrissi a Medicina. Devo dire che gli studi di Medicina mi servirono molto soprattutto per le nozioni di fisiologia, biochimica ed endocrinologia, che riesci ad applicare alle strategie di alimentazione ed integrazione, ma per quanto riguarda la metodologia di allenamento sinceramente non trovai molti “input”, anche perché le conoscenze alla base del meccanismo dell’ipertrofia muscolare erano oltremodo scarse e non provate. Per cui il mio approccio per quanto riguarda la quantità settimanale di allenamento, intendendo il volume (numero di serie) e la frequenza (quante volte il muscolo veniva allenato alla settimana), rimaneva in parte empirico. Essendo allora il mio idolo Arnold Schwartzenegger, fui affascinato dall’alto volume di allenamento propugnato da lui, circa 20-25 set per gruppo muscolare, e allenamento dei muscoli due volte alla settimana, se non addirittura tre, certe volte. Però l’alto volume di allenamento, che comportava 6 allenamenti alla settimana, era per me insostenibile e mi portava nel giro di 2-3 settimane ad un super-allenamento che mi impediva di dormire bene la notte e mi portava ad odiare la palestra. Comunque quando preparai la mia prima gara  “La Notte dei Campioni” nel 1984, continuai con l’alto volume in quanto ritenevo che per la definizione questo approccio fosse assolutamente necessario. Mi allenavo 3 volte al giorno: 1 seduta di aerobica al mattino presto e due allenamenti coi pesi, uno a mezzogiorno e l’altro alle 18. In questa maniera allenavo tutto il corpo in due giorni e poi ripetevo il tutto negli altri giorni per 6 giorni alla settimana, arrivando così ad allenare tutti i muscoli tre volte alla settimana, per un minimo di 20 serie per gruppo muscolare. Il risultato comunque fu abbastanza buono; andai in gara con un livello di definizione che a quei tempi forse rappresentava un nuovo “standard”, battendo atleti più voluminosi di me ma meno preparati. Avevo perso forse qualche chilo di massa muscolare e sinceramente la preparazione era stata una vera e propria tortura; ricordo che avrei preferito digiunare piuttosto che andare in palestra. Ero praticamente uno “zombie”, in grado a malapena di allenarmi, ovviamente con un’intensità medio-bassa, mangiare quel poco che mi consentiva la mia dieta e dormire o comunque stare coricato a letto. Dopo questa preparazione mi resi conto che dovevo cambiare qualcosa. Cominciai così a studiare le tecniche di allenamento ad alta intensità e, nell’estate del 1985, decisi di partire alla volta di Los Angeles per andare ad allenarmi con il maggior fautore delle tecniche ad alta intensità: Mike Mentzer. Ritornato poi dal mio stage estivo a Venice in California, dove mi ero allenato più volte sotto la guida di Mike Mentzer insieme ai miei amici e “campioni” (Caleffi, i fratelli Zambelli), seguii le metodiche di Mentzer per circa 2 mesi, ma poi le abbandonai per gli scarsissimi risultati raggiunti, anzi addirittura intravedendo una certa regressione, e così pure fecero i miei amici. Questo fu il mio primo impatto con un sistema di allenamento ad alta intensità e basso volume. Qualcuno di voi potrà pensare che forse la mancanza di risultati derivasse da un non corretta applicazione e da un non sufficiente impegno, ma dovete tenere in considerazione che eravamo già tutti atleti di livello nazionale, cioè dei “campioni”. Se una volta, per sfida, io e Caleffi eravamo arrivati a fare in un’unica seduta di allenamento 50 serie per le gambe “ad esaurimento” (10 esercizi da 5 serie cadauno), non penso che una o due serie anche se “tirate alla morte” avrebbero potuto spaventarci più di tanto. L’allenamento Heavy Duty era un incubo in quanto mi dovevo preparare mentalmente per dare il massimo in quelle poche serie altrimenti avrei vanificato tutto l’allenamento ed ero concentrato quindi a cercare super-motivazioni prima dell’allenamento: training autogeno, visualizzazione, musica coinvolgente, ma anche quando avevo la sensazione di aver dato realmente “tutto”, non mi sentivo appagato, non avevo l’impressione di aver stimolato a sufficienza il muscolo, sennonché dopo due giorni avevo i muscoli talmente doloranti che mi limitavano i normali movimenti della vita quotidiana e questo mi dava invece la conferma di una notevole sollecitazione muscolare. Quando tornavo ad allenarlo dopo circa una settimana, quando i dolori erano terminati, avevo la sensazione che il muscolo si fosse dimenticato completamente dell’allenamento precedente, senza alcuna super-compensazione e il dolore che seguiva al successivo allenamento mi sembrava più il dolore che si ha quando si riprende ad allenarsi dopo un periodo di ferie o a fare uno sport che da parecchio tempo si è sospeso, insomma niente a che vedere con quel dolore muscolare che invece ti dà  l’idea di aver fatto un buon allenamento. Comunque l’esperienza con Mike Mentzer mi fece comprendere come l’intensità fosse in realtà un fattore fondamentale e, nella mia preparazione successiva per i Campionati Italiani del 1986, allenai i muscoli “solo” due volte alla settimana, riducendo il numero delle serie a 10-12 per gruppo muscolare. In questa maniera avevo senz’altro più energie ed ero in grado di sollecitare il muscolo con un buon carico ad una grande intensità. Quell’anno vinsi il Campionato Italiano nei pesi massimi e ritengo che forse quella sia stata la migliore forma della mia carriera. La mia successiva esperienza con un allenamento breve ed infrequente fu nel 1988 sempre a Venice in California. Ero già campione italiano, laureato in Medicina e Chirurgia, e seguivo già tantissimi atleti, qualche centinaio sparsi in tutta Italia, e “solo” una ventina, come minimo campioni regionali o italiani, che si allenavano nella mia palestra, la mitica New Center Gym di Parma, che allora era un po’ come la Gold’s Gym di Venice e Parma era un po’ la “mecca” del Body Building. Quell’anno dovevo prepararmi per le “Selezioni per i Mondiali” che si sarebbero tenute proprio a Parma in ottobre. Era un appuntamento in cui  non potevo fallire, ma avevo la consapevolezza che, a causa ormai dei miei numerosi impegni, non avrei potuto avere la necessaria tranquillità per prepararmi al meglio. Decisi quindi di partire alla volta di Los Angeles tre mesi prima della competizione per potermi dedicare solo alla mia preparazione. Già il primo giorno incontrai in palestra il mio amico Samir Bannout (Mister Olympia 1983) che stava preparando il suo come-back al Mister Olympia. Samir, entusiasta di vedermi, mi propose di allenarmi con lui per tutta la preparazione in quanto il Mister Olympia quell’anno si teneva proprio a Los Angeles tre settimane prima della mia gara. Non male, direi, allenarmi con un Mister Olympia in preparazione per il Mr. Olympia: credo che non ci potessero essere scuse per carenza di motivazioni, impegno ed intensità.

A questo punto vi devo dire che Bannout era un sostenitore dell’allenamento ad alta intensità ed un seguace delle teorie di Mike Mentzer, che aveva personalizzato: in effetti non eseguiva solo 1-2 serie per gruppo muscolare, ma circa 5-6, a volte con tecniche di pre-esaurimento ed allenava i muscoli solo una volta alla settimana. Ebbene, durante questo periodo di “quasi” convivenza con Samir Bannout (mangiavamo insieme, ci allenavamo insieme, prendevamo gli stessi integratori) lui migliorava rapidamente, mentre i miei progressi erano estremamente lenti. Dovete sapere che in realtà una differenza sostanziale esisteva: la mia gara presupponeva il “test antidoping” e quindi la mia preparazione teneva conto di ciò, invece Samir non aveva problemi di questo genere. Forse questa poteva essere la causa del mio lento miglioramento, ma io sentivo che non era quella. In realtà sentivo di non allenarmi abbastanza, sentivo l’esigenza di allenarmi di più. Alla fine dell’allenamento non ero mai soddisfatto di quello che avevo fatto, ma come si fa a dire ad un Mister Olympia che non vuoi più allenarti con lui perché il suo allenamento non va bene? Continuai così sperando che le cose migliorassero col tempo. Ma ciò non avvenne. Al mio ritorno a Parma, quando mancavano 3 settimane alla gara ero nettamente indietro come preparazione: i muscoli non erano sufficientemente preparati e neanche “pompati” e la definizione scarsa. Sentivo di dover sconvolgere quello che avevo fatto fino ad allora; cominciai ad allenarmi due volte al giorno con circa 15-20 serie per gruppo muscolare ed allenando tutti i muscoli 2 volte alla settimana. Nel giro di tre settimane il mio fisico si trasformò, riuscii così a raggiungere il 90% della mia condizione (per il 100% avrei avuto bisogno di altre 2 settimane), ma per fortuna questo fu sufficiente per vincere la gara battendo tutti i migliori pesi massimi di quell’anno (Bonaccorsi, Curtarelli, Nocerino, Caminotto, Dall’Amico e altri).

Morale della favola: Non sempre “meno è meglio”. Non esistono per l’allenamento dei “dogmi” assoluti e non esiste una sola via, ma ognuno deve trovare la propria nel rispetto delle regole della fisiologia e della biochimica, che hanno però dei “range” abbastanza ampi e trovare in questo “range” il punto giusto è la chiave del successo.

Sportman & Fitness – ottobre 2003